L’ultimo giorno di una storia infinita

Spartani! Preparate la colazione e mangiate tanto perché stasera ceneremo nell’Ade!

[Leonida in “300”]

Tutti a Cremona perché la storia di questi eroi diventi leggenda”.

Se il 10 maggio 2014 vi foste trovati a passare lungo la circonvallazione di Montegranaro, volgendo lo sguardo verso il pendio della collina sulla quale si poggia il centro storico, avreste visto un striscione che recitava così.

Quel 10 maggio, gli “eroi” li conoscevano tutti: erano ciò che restava della Sutor versione 2013/2014. Anche la storia, dolorosa, avvelenata, sanguinante, la conoscevano tutti: c’è una salvezza da conquistare sul campo per poggiare la prima pietra della ben più improbabile salvezza fuori dal rettangolo di gioco.

Che la Sutor sia con l’acqua alla gola non era certo un mistero: gli annunci trionfanti di inizio stagione si erano ben presto schiantati contro la realtà di una montagna di debiti che aveva paralizzato l’attività portando a proteste, sciopero e infine alle fughe una dopo l’altra dei giocatori americani: Mardy Collins, dopo un gomito rotto, una partita da match winner nel derby-salvezza contro Pesaro e parecchi allenamenti seguiti dalle poltroncine del PalaSavelli al fianco del sottoscritto (ma per motivi decisamente diversi), aveva accettato la corte dell’Olympiacos; Josh Mayo, sorriso e professionalità con pochi eguali, era stato sacrificato per incassare qualche euro e spedito in direzione Roma; Jamie Skeen… boh, chi l’ha visto?

Quel 10 maggio, senza un soldo da mesi (a parte le briciole raccolte dai tifosi con una colletta che fruttò circa 12 mila euro) ma soprattutto con la netta sensazione di essere a bordo di una barca che sta sprofondando, la squadra di Charlie Recalcati, penultima in classifica, aveva comunque in mano il suo destino: battendo una Vanoli Cremona già salva sul suo campo avrebbe respinto l’assalto della Vuelle Pesaro, a -2 ma con lo scontro diretto a proprio favore da far pesare in caso di arrivo a pari punti e il match casalingo contro Venezia per completare una rimonta alimentata in maniera clamorosa con le vittorie in volata su Brindisi e soprattutto sulla Virtus Bologna. Quella in cui Elston Turner si giocò questo jolly qua:

[Senza questo canestro, Pesaro sarebbe già retrocessa]

Quel 10 maggio vogliono esserci tutti. Tre pullman da 50 posti vengono riempiti in pochi giorni, decine di auto e camper scaldano i motori sin dalla mattina presto per arrivare ai piedi del Torrazzo. C’è chi è sceso appositamente dalla Svizzera per seguire l’ultima galoppata dei suoi beniamini. In due, padre e figlio, hanno addirittura lasciato il loro stabilimento balneare a Tortoreto Lido, in Abruzzo, per seguire quello che speravano potesse non essere il canto del cigno della Sutor in serie A. «Oggi non si può proprio mancare, dopo 12 anni di abbonamenti e trasferte». Coach Recalcati ha addirittura il suo tifoso personale. Paolo, supporter varesino sulla cinquantina, è arrivato apposta dall’altro capo della Lombardia per salutare l’indimenticato ex ct della Nazionale. Il giorno dopo, infatti, sarebbe ricorso il 15° anniversario dello scudetto della Varese di Pozzecco e Meneghin, con Charlie alla guida di quella squadra meravigliosa.

Parto anche io, che da un anno circa avevo preso a seguire la squadra per il Corriere Adriatico. Raramente mi mandavano in trasferta, o meglio: «Se vuoi andare vai pure, le spese però non le copriamo». Scelte aziendali. Ma quella volta è diverso. Tutti sanno che quel giorno può essere l’ultimo. Si fa la storia, fanculo le spese.

La Pianura Padana è bollente, anche se è solo metà maggio. Al PalaRadi si gronda pure stando fermi immobili a guardare i ragazzi riscaldarsi (gag involontaria). La tegola dell’ultima ora in casa Sutor è l’infortunio di Valerio Mazzola: storta alla caviglia nell’allenamento del venerdì, è già tanto che stia in piedi, figuriamoci dare un contributo vero a una squadra già ridotta ai minimi termini.

Ingabbiati nel riquadro in alto sopra la panchina gialloblu, i tifosi sutorini provano a spingere la squadra da par loro. Coloratissimi, con sciarpe, bandiere e tamburi per far sentire la Sutor a casa propria. I locali, vuoi perché la partita non aveva grandi significati per loro, vuoi per la concomitanza con la partita della Cremonese calcio, non erano più di un migliaio con al massimo una decina di ultras (si fa per dire…) più rumorosi degli altri.

[Situazione a un quarto d’ora dalla palla a due]

18 in punto, palla a due: i Rangers la accolgono con un boato che fa tremare il capannone assolato nel cuore del nulla padano. La Sutor annaspa trafitta da Jackson, i meno facinorosi controllano nervosamente il cellulare per gli aggiornamenti da Pesaro e quando la notizia che la Vuelle sta scappando verso la vittoria inizia a circolare, c’è un attimo di sbandamento. Ma con un Campani allucinante (27 punti e 8 rimbalzi alla fine) a trascinare la rimonta, anche i supporters veregrensi danno tutto. I gialloblu annaspano, ma annusano l’impresa nel terzo quarto, quando per la prima volta mettono il naso avanti sul 58-60. A Pesaro è ormai non si può chiedere regali, Venezia ha deciso di alzare bandiera bianca senza neanche lottare, a differenza di una Cremona che invece di sconti non ne vuole fare. Neanche se in panchina c’è un signor allenatore che abita a 300 metri dal PalaSavelli: Cesare Pancotto. «Ho profondo rispetto per la Sutor, l’ho sempre detto. Fare una cosa del genere sarebbe denigratorio per la società. Per cui mi aspetto una partita seria come nella logica di chi in campo mette sempre tutte le energie».

Un Campani così avrebbe bisogno al suo fianco del Cinciarini visto una settimana prima, quello che aveva rifilato 38 punti alla Sidigas Avellino nella vittoria che aveva messo la Sutor nelle condizioni di essere padrona del suo destino nella palude di Cremona. La Vuelle ha firmato la sua terza vittoria consecutiva nelle ultime tre di campionato, non c’è più tempo per i calcoli: serve solo la vittoria. La Sutor fa quel che può, ma Jason Rich non è in vena di regali: un canestro in fila l’altro, sono 10 nei minuti finali del match, e per Montegranaro non c’è lieto fine. Il tabellone luminoso recita 79-73 Vanoli, la sirena arriva come una pugnalata nel petto, resa ancora più amara dal disinteresse che accoglie invece una Vanoli già sazia per la salvezza conquistata da tempo. I sentimenti si mescolano. Le lacrime scorrono a fiumi in campo e in tribuna, fondendosi alla rabbia per una salvezza che tutti sentivano come meritata e a portata di mano. Qualcuno inveisce contro Pancotto, ma tra sudore e lacrime ciò che resta è la gratitudine. L’abbraccio tra un Lauwers distrutto e la compagna assiepata alle spalle della panchina sutorina è una delle istantanee che restano dentro di quel momento in cui si sgretola la storia di un popolo.

La corsa in sala stampa, poi fuori a intercettare i ragazzi, quindi via in macchina, un panino in autogrill e infine l’abbraccio finale che Montegranaro offre ai suoi paladini nel cuore della notte: tutti sotto la palazzina dove vivono i giocatori con cori, abbracci e sorrisi per tutta la squadra. Come vecchi amici che sanno già che da domani niente sarà più come prima. «Non finirò mai di ringraziare tutte le persone che hanno lavorato con me, un gruppo di persone che merita che la vita gli restituisca quello che hanno dato quest’anno – aveva detto qualche ora prima Recalcati in sala stampa a fine gara – nella vita a volte si vince anche quando nello sport si perde. Loro hanno vinto. È difficile accettarlo ora, ma il tempo sarà galantuomo».

Qualche anno dopo quella giornata di lutto (sportivamente parlando), in una anonima sera di novembre, mi trovavo in Baviera con alcuni amici. Avevamo rimediato dei pass per Bamberg-Cska, regular season di Eurolega. Partita incredibile, decisa in favore dei russi da una bomba di Fridzon sulla sirena. All’intervallo, nella pazzesca area hospitality della Brose Arena, scorgo un ragazzo che mi sembra di conoscere già. Mi avvicino e non sbagliavo: è Jakub Kudlacek. In quella Sutor era arrivato a stagione in corso perché senza squadra, a bordo della macchina prestatagli da Reggio Emilia (che ne deteneva il contratto) e con una miriade di infortuni alle spalle. Partito Collins, il gm Sandro Santoro si era convinto a metterlo sotto contratto (si fa per dire…) per dare una mano a Mayo in regia. Fu una delle liete sorprese di quella mirabolante seconda parte di stagione, ma dopo aver giocato un altro anno in A2 spagnola aveva mollato il basket giocato.

Ci abbracciamo come vecchi amici anche se vecchi amici non eravamo. Ma il ricordo di quello che era stato qualche anno prima aveva creato una sottile e invisibile linea rossa che non aveva bisogno di parole o di gesti.

«Kuba, ma che ci fai qua?»

«Eh, adesso lavoro per la Federazione ceca e sono scout di alcune franchigie NBA».

Non con tutti e non sempre, ma il tempo sa essere davvero galantuomo.

Marco Pagliariccio