La lunga rincorsa di Arik Smith

Chi è Arik Smith?

Ve lo ricordate Terris Sifford? Sicuro, se seguite le vicende della Janus sin da quando ha iniziato la sua scalato verso l’alto. Siamo nel 2013 e la squadra biancoblu, all’esordio in Serie D, cerca un crack per puntellare un organico già fortissimo per la categoria. La scelta cade per l’appunto su T-Siff, già visto dalle nostre parti tra Fermo e Montemarciano tra D e C2: fu lui il primo americano della storia della Janus e a fine stagione arrivò una promozione in C tanto attesa quanto netta.

Bene, Sifford (che tornò poi anche nella stagione successiva, quella della sconfitta in finale contro Pedaso) ha girato per gran parte della sua carriera nelle minors italiane senza mai riuscire a fare il grande salto verso la Serie A. Ma il suo pedigree a livello di college parlava di quattro anni vissuti a Winston-Salem, università di Division I, il massimo livello del basket universitario americano. Se emergere è stato impossibile per un giocatore che quantomeno con curriculum universitario di tutto rispetto, pensate a cosa può essere questo percorso se arrivi dalla Division III, il livello a cui competono i college più piccoli d’America, se non ti chiamo Scottie Pippen o Dennis Rodman (entrambi esplosi dopo essere transitati in università di questa fascia). Ed è proprio da lì che arriva Ariks Smith, quello che nei piani di coach Pansa dovrà essere il terminale numero uno della Ristopro che si affaccia per la prima volta alla Serie A2.

Una storia di eterna rincorsa quella della piccola combo guard statunitense. Nato a Bakersfield, California con pochi lustrini e tanto petrolio, dopo la high school sotto casa, poco più che 18enne abbandona la costa ovest: ha voglia di cambiare aria e mettersi alla prova, così si dirige a nord, verso il Wisconsin. Di questi tempi è figo essere del Wisconsin, con Milwaukee travolta dalla Giannis-mania post-anello, ma dieci anni fa lo era molto meno. Figuriamoci se casa tua diventa River Falls, 15 mila anime non lontano da Minneapolis. Le terre di Fargo, se siete pratici di film e serie tv. Ma Arik è uno con un obiettivo ben preciso: giocare a basket al suo massimo livello. A River Falls lo fa alla grande, mostrando anche discreta dose di cojones:

Due anni con tanta neve e poco divertimento fuori dalla palestra possono essere duri se sei cresciuto in California e hai vent’anni, così Arik accetta di tornare vicino casa, alla California Lutheran University, altro college di Division III che gli aveva fatto la corte anni prima ma cui aveva detto di no preferendo il “Fear the Deer”. E il suo ritorno in patria è bruciante: 16,8 punti, 3,4 rimbalzi, 2,1 assist da junior, addirittura 18,9 punti, 5,9 rimbalzi e 3,2 assist da senior, cifre e prestazioni che gli valgono la convocazione per il Athletic Conference All-Star Team, un gruppo dei migliori giocatori del campionato con il quale, nell’estate 2015, sbarca in Italia per una serie di amichevoli. Tra le avversarie c’è anche la NB Sora 2000 e nella sfida Smith piazza 27 punti: un mese dopo, in assenza di migliori offerte, i laziali lo mettono sotto contratto per disputare il campionato di Serie C Silver. «Spero che dopo quest’anno sarò notato a ingaggiato in qualche lega maggiore. Mi piace l’Italia e non sarebbe un problema restare qui, ma non lo sarebbe altrettanto giocare in Germania, Spagna, Australia o Francia», dice alle porte del suo esordio tra i professionisti.

Nella città di Pasquale Luiso, Arik fa faville: 23,3 punti di media in 29 partite, addirittura 40 nella vittoria interna su Formia, ciociari che arrivano fino in semifinale. Ma di salire a un livello superiore non se ne parla ancora, chiamate importanti non ne arrivano. Così nel 2016 dal Lazio si sposta in Puglia: è Ostuni, di nuovo Serie C Silver, ad accaparrarselo. Il californiano continua a dominare (i punti a partita sono 21,9), ma a marzo 2017 ecco la brutta sorpresa: la Fip ribalta a campionato in corso l’interpretazione della normativa sul tesseramento dei giocatori extracomunitari, ovvero tutti coloro che non hanno un permesso di soggiorno valido sono costretti ad andarsene. E così Ostuni deve fare a meno del suo fuoriclasse e per lui la stagione va in archivio in anticipo.

Arik non è però di quelli che si scoraggia e, come aveva fatto da adolescente, punta la prua di nuovo verso nord: stavolta è la Svezia a chiamare, Umea per la precisione. Dopo due anni a denti stretti, il primo a 350 dollari al mese vitto e alloggio, è già qualcosa. «Volevo andarmene, volevo mollare, volevo dire che questa cosa non faceva per me – confessa nel 2018 in un’intervista al giornale della sua città natale, Bakersfield, ricordando la stagione in Lazio – il primo anno da pro è stato per distacco la più dura esperienza di vita che abbia mai avuto». Ma chi riesce a superare quelle difficoltà poi ne esce fortificato. Accetta un contratto da 1.100 dollari al mese, più o meno la stessa cifra che guadagnava a Ostuni, ma stavolta per lui c’è una prima lega europea. E l’occasione non se la fa sfuggire: capocannoniere del campionato a 20 punti tondi tondi di media e inserimento nel primo quintetto del campionato. «E’ stata la prima volta in cui go sentito di essere nel posto giusto e di andare nella giusta direzione con il basket», aggiunge Arik.

Intanto entra nel periodo afro

È la prima vera svolta della sua carriera. Il mercato lo reclama, c’è l’Inter Bratislava che è pronta a offrirgli un buon contratto. Lui vuole liberarsi dall’1+1 siglato con Umea, ma la clausola di uscita è a favore del club: per svincolarsi deve versare 9 mila dollari, praticamente quasi tutto quello che ha guadagnato durante la stagione. L’ennesimo investimento su sé stesso. Ma sa anche che ad aspettarlo c’è un contratto 5-6 volte migliore con tanto di appartamento, voli e auto a propria disposizione. Un buon affare sotto il profilo economico e anche sotto quello tecnico, perché in Slovacchia Arik si conferma a ottimi livelli (14,2 punti a partita) e vince pure il campionato con tanto di titolo di Mvp dei playoff.

Tempo di crescere ancora e così nell’estate 2019 la nuova fermata è in Belgio, a Mons. Il covid-19 ferma tutto quando la squadra è seconda in classifica, così torna per il suo secondo tentativo un anno fa: altro secondo posto ma anche e soprattutto l’esordio nelle coppe europee, in Champions League prima e FIBA Europe Cup poi: 21,0 di media nelle due gare di Champions disputate, 13,4 punti con 4,2 rimbalzi e 3,6 assist in Europe Cup, che vede i belgi spingersi fino ai quarti di finale.

Contro Reggio Emilia gioca la sua peggior gara europea stagionale: 9 punti con 4/14 dal campo e sconfitta interna di 1

Evidentemente, però, le brutte esperienze dei tempi di Serie C non hanno lasciato troppo il segno nel nuovo americano della Ristopro, che quattro anni dopo essere dovuto scappare da Ostuni ritorna in Italia planando su Fabriano. Un cerchio che si chiude.

Come gioca Arik Smith?

Attacco – Combo di piccola taglia ma con buona esplosività, Arik Smith è abituato ad essere uno degli scorer principi della squadra in cui gioca. A tratti selvaggio nelle scelte, ma dotato di istinti di buonissimo livello che in A2 potrebbero portarlo ad essere una delle rivelazioni del campionato. Molto bravo ad attaccare in situazioni di isolamento, adora finire al ferro penetrando appena ne ha possibilità, anche se poi la mancanza di taglia e fisicità non sempre gli permettono di trovare strada facile per un lay-up contro i big men avversari. Pericoloso anche coi piedi dietro l’arco, dove è in grado sia di segnare triple dal palleggio che piedi per terra, ma è da registrare la sua efficacia nel gioco senza palla, meno “partecipe” quando non è il palleggiatore primario. Tende a giocare per sé piuttosto che creare qualcosa per i suoi compagni pur non essendo un cattivo passatore, anche se fa particolare fatica ad attaccare contro una difesa fisica e spesso preferisce forzare un tiro piuttosto che scaricare il pallone.

Difesa – si può serenamente affermare che la difesa non è il punto forte di Arik Smith. La sua scarsa fisicità gli permette di essere un efficiente difensore principalmente del playmaker avversario, fatica parecchio di più contro guardie di buona presenza fisica. Può mettere buona pressione sul pallone, e se nel giusto “mood” è anche un buon difensore nell’1vs1, lottando per passare sopra nei pick&roll e cercando di pressare il palleggiatore avversario. Spesso viene battuto con troppa facilità al primo vero palleggio per attaccare il ferro, smettendo di piegare le ginocchia anche dopo un buon possesso difensivo, e non sembra così dedito a recuperare e/o scalare partecipando in una collaborazione difensiva. Possiamo dire che la sregolatezza nella metà campo offensiva, fatta di scelte opinabili ma anche di giocate sopra le righe, viene riportata anche nell’altra metà del rettangolo, con tagli back-door subiti con troppa facilità e cambi difensivi non sempre eseguiti con le giuste tempistiche e modalità.