C’era una volta a Porto San Giorgio…

Sono un ragazzo cresciuto a pane e pallacanestro. Sono sempre stato il più alto della mia classe, uno dei giganti delle scuole che ho frequentato. La domanda sempre quella: ma giochi a basket? Sì, e sono anche bravo a svitare le lampadine senza scala. Ovviamente.

Estate 2001, Chalet Duilio, Porto San Giorgio. Un ragazzino biondo con la maglietta di Kobe Bryant palleggia sotto le gambe mentre cammina. Lo guardo attento, è timido, non è che parli molto. Poi si avvicina, vuole giocare con noi. Va bene, facciamo due tiri. Diventano cento. Ci diamo appuntamento alla sera, ci sfidiamo. Io e mio fratello contro lui ed un ragazzo che sarebbe poi diventato un mio grande amico.

La vita.

Vinciamo noi di due punti. Ricordatevela sta vittoria, non succederà più tanto spesso. Ogni estate così. Si duella, ci si diverte, ci si insulta. La sera di nuovo amici come prima. Si uniscono ragazzi da tutt’Italia. Modena, Roma, Bologna. Siamo tutti ma tutti veramente forti. Se avessimo continuato tutti, sono sicuro che nessuno avrebbe giocato al di sotto della Serie B. Infatti molti di loro ancora oggi giocano come professionisti (nota di redazione: aggiungiamo noi qualche nome che potreste conoscere se seguite le nostre minors: Leonardo Ciribeni, Diego Torresi, Andrea Morresi…).

Il livello era alto, bello da vedere, le sfide ai 100 punti sotto il sole, e poi no la rivincita, l’acqua del mare a rinfrescarci. Le bibite offerte dalla barista che si innamorava un po’ di me, un po’ di te. Tutti avevamo un po’ d’amore al tempo, ed aveva il gusto della Gatorade.

Sullo sfondo un giovanissimo Achille Polonara osserva le eminenze del basket minors delle Marche durante un torneo 3vs3 a San Benedetto del Tronto

Flash forward al 2006.

Quella foto sbiadita che vedete sopra la scattò una ragazza romana in vacanza. Un piccolo amore estivo che era venuta a seguirmi. Siamo di nuovo io ed il ragazzo biondo con la maglietta di Kobe. Sono passati tanti anni ed ora siamo noi due i giganti. Vorremmo giocare insieme perché Dio santo come passa lui il pallone io me lo sogno. Quella è la palla a due, l’inizio, quando si taglia il cordone ombelicale alla partita. Tutta la tensione se ne va quando l’arbitro lancia in aria la sfera. Guardi il cielo estivo. Sei immortale. Perderò quella partita. Il ragazzino biondo con la maglia di Kobe se l’era segnata al dito la sua prima sconfitta. Ora lo so, non ci ha dormito la notte. Io guardavo Rete Capri per sbirciare un capezzolo di una ragazza, lui stava studiando come farmi il culo. Ci è riuscito, praticamente sempre, da lì in poi. E avevo anche difeso bene. La mia miglior difesa di sempre su di lui. Ma non fa niente, c’era la Gatorade ad aspettarmi.

Flashforward, estate 2011.

Il Biondo è ora alto due metri e tre centimetri. Io sono rimasto una decina sotto. Il Biondo ha una medaglia al collo con la nazionale Italiana Under 20. Io studio cinema a Roma. Alla fine per me era ed è un gioco. Una passione sì, una leggera ossessione, perché no. Per lui era una febbre.

Restiamo in contatto ovviamente. No, non ci sentiamo ogni due giorni, ma ci sentiamo. Il Biondo da lì in poi vincerà:

Due volte Miglior under 22 del campionato.

Una Supercoppa Italia

Una FIBA Europe Cup

Ma non dimentichiamo, perderà delle finali scudetto.

Si infortuna prima di andare alla Summer League NBA.

Io facevo tifo per lui, e scrivergli a fine partita: dai che l’anno prossimo…era pesante per me, e per lui rispondere, sempre con gentilezza: grazie Edo. Sempre. Risponde sempre. Appena finita la partita, risponde sempre.

Poi la Spagna, il Biondo vince un campionato, finalmente. Fa un assist decisivo. Ve l’avevo detto che la passava da Dio. Io lo sapevo che l’avrebbe passata. Glielo avevo visto fare. A me. Certi traumi non si dimenticano. Stavolta invece scoppio e salto e urlo.

Ce l’ha fatta.

Risponde ancora.

Diventa uno di quei giocatori che in Eurolega fanno paura, rispettato, temuto. Agonisticamente cattivo. No fuori no, non ci pensate nemmeno.

Poco fa ha riportato da Mvp del preolimpico l’Italia alle Olimpiadi, 17 anni dopo l’ultima volta. Ironia della sorte. Quando nell’ultima Olimpiade perdemmo con la Serbia, poi vincemmo con l’Argentina, poi riperdemmo con l’Argentina, eravamo insieme. A gioire, a piangere.

Ed ogni ragazzino biondo che palleggia sui lungomare, che rimane dopo calato il sole, che ancora sta tirando, quando il canestro fa solo il rumore del cotone, dentro di sé sta sussurrando: Polonara.

POLONARA.

POLONARA.

POLONARA.

di Edoardo Vitali